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15 dicembre 1976, il ritorno del Crocifisso di Cimabue a Santa Croce

L’alluvione dell’Arno del 1966, che devastò Firenze e minacciò il cuore del suo patrimonio artistico, trovò nel Crocifisso di Cimabue il simbolo più doloroso.

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Il crocifisso di Cimabue in Santa Crooce Il crocifisso di Cimabue in Santa Crooce © facebook
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L’alluvione dell’Arno del 1966, che devastò Firenze e minacciò il cuore del suo patrimonio artistico, trovò nel Crocifisso di Cimabue il simbolo più doloroso dei danni ai beni culturali.
L’opera, collocata nella splendida sala del Refettorio di Santa Croce e posta in posizione rialzata, fu comunque travolta da acque e melma che in quel punto superarono i quattro metri.
Quando venne adagiata per i primi interventi, l’impasto di fango la faceva apparire irrimediabilmente compromessa, prima del trasferimento a Boboli per il lungo e complesso restauro.

Il ritorno del Crocifisso nella Basilica di Santa Croce, anni dopo, divenne un momento di altissimo valore culturale: non solo la restituzione di un capolavoro tra i più significativi dell’arte medievale italiana, ma anche il simbolo della capacità di una città e della comunità internazionale di prendersi cura della propria storia e di ricostruire ciò che sembrava perduto.

Il Crocifisso, realizzato da Cimabue intorno al 1272, è un’opera rivoluzionaria nel panorama artistico del suo tempo. Esso rappresenta il passaggio dall’arte bizantina a una visione più umana e sofferta della figura di Cristo, precorrendo la sensibilità del Rinascimento.

Prima dell’alluvione del 1966, il Crocifisso occupava un posto centrale nella Basilica di Santa Croce, sospeso sopra il coro, dove catturava la devozione e l’ammirazione dei fedeli.
La catastrofe dell’alluvione del 4 novembre 1966 sommerse Firenze sotto metri di acqua e fango.
Il Crocifisso di Cimabue fu tra le opere più gravemente danneggiate: l’acqua penetrò nel legno, provocando rigonfiamenti e fessurazioni, mentre gran parte della pittura si dissolse nel fango.
Si stima che circa il 60% della superficie pittorica originale andò perduto.
Il restauro del Crocifisso divenne un simbolo della lotta per salvare il patrimonio culturale di Firenze.
Il lavoro fu affidato all’Opificio delle Pietre Dure, sotto la guida di esperti di fama internazionale.

Si trattava di una sfida senza precedenti: consolidare il supporto ligneo, trattare i danni causati dall’acqua e recuperare le parti pittoriche superstiti.

Gli esperti adottarono un approccio pionieristico, scegliendo di rispettare la condizione frammentaria dell’opera senza ricostruire artificialmente le parti mancanti.
Il risultato fu un restauro che combinava innovazione e rispetto per l’autenticità storica.

Il 15 dicembre 1976 fu la data in cui il Crocifisso di Cimabue, restaurato dopo i gravi danni subiti, fu ufficialmente restituito alla città di Firenze e ricollocato nella Basilica di Santa Croce.

La cerimonia segnò un momento storico per la comunità fiorentina e per il mondo dell’arte, poiché celebrava non solo il recupero di un capolavoro del XIII secolo, ma anche la rinascita simbolica della città, profondamente segnata dal disastro di dieci anni prima.

Il Crocifisso non fu ricollocato nella sua posizione originaria, sospeso sopra il coro, ma venne posizionato in una cappella laterale, specificamente attrezzata per garantirne una migliore conservazione e proteggerlo da eventuali futuri danni.

Questa nuova sistemazione fu simbolica: il Crocifisso, pur visibilmente segnato dalle ferite del tempo e dell’alluvione, testimoniava la forza della memoria e della resilienza della comunità.

Il ritorno del Crocifisso fu accolto con entusiasmo e commozione.

Firenze si riappropriava di un pezzo della sua identità culturale, devastata ma non cancellata dall’alluvione. La giornata divenne un’occasione per riflettere sull’importanza della salvaguardia del patrimonio storico e artistico, ispirando innumerevoli iniziative di conservazione a livello internazionale.

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