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Riscoprire l'integralismo: Una visione oltre gli estremi nella cultura e nell'educazione

L’integralismo scientista. Una interessante riflessione di Marco Nardini

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Parola usata oggi quasi solamente per riferirsi alle ideologie islamiche più radicali, violente. Che ha assunto con ciò un’accezione negativa. C’è stato però, all’inizio del secolo scorso, il movimento integralista dei socialisti italiani, detto anche Unitarismo, di denotazione positiva. L’integralismo può quindi essere inteso sia come cosa buona che cattiva.

Certo, in entrambi i casi implica una tendenza manichea (disponibilità a includere e decisa esclusione di chi non si fa includere). Ma anche questa tendenza può non essere solo cattiva se la si contiene entro i limiti del “giusto mezzo”. Per condurre adeguatamente le relazioni sociali abbiamo bisogno dell’integralismo. Ce lo richiede l’economia del giudizio. Non sarebbe possibile arrivare a produrre un qualsiasi giudizio avvalendoci del solo mezzo analitico, dobbiamo in qualche modo essere sintetici. E in questo un sano e misurato integralismo aiuta.

Come solitamente accade, l’eccesso degenera. Potrei dire dell’ambizione, di per sé virtù che diventa vizio se assume una dimensione eccessivamente integralista. O del desiderio che sfora nell’avidità. E così via.

Mi preme però porre la questione sul piano culturale generale, e in specifico su un aspetto della cultura dominante: lo scientismo. Ovvero su quel “Movimento intellettuale tendente ad attribuire alle scienze fisiche e sperimentali, e ai loro metodi, la capacità di soddisfare tutti i problemi e i bisogni dell'uomo”.

Perché “fatti non foste per viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza”.

Ecco allora la necessità di ridare valore alle scienze dello spirito. Badiamo bene, non a scapito delle scienze della materia bensì con la complementarietà opportuna dell’una verso l’altra. Un appello questo che va a tutti, individui e collettivi, ma principalmente a chi si occupa di educazione: famiglia e scuola. Ridare il giusto ruolo agli studi dello spirito significa non limitarsi al “come?” ma estendere la domanda al “cosa?”, al “perché?”.

La giustificazione del disinteresse per la “cosa in sé”, sostenuta da autorevoli orientamenti e menti (l’Esistenzialismo, Wittgenstein: “di ciò di cui non si può parlare si deve tacere”, …), si basa sull’infruttuosità plurimillenaria degli studi in materia.

Credo però che sia una giustificazione non completamente fondata. Per due motivi. Già il solo fatto che per secoli l’umanità si sia interessata alla metafisica, all’ontologia, è motivo sufficiente a darne dignità. Poi, non è del tutto vero che non si siano avuti risultati. Non si arriva a niente se la domanda è posta in positivo: cos’è ….? Si ottengono invece delle risposte fondate se la domanda è posta in negativo: cosa non è ….?

Articolo di Marco Nardini

 

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