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Tutti noi siamo Mahsa Amini. La storia della ragazza di 20 anni che ha commosso il mondo

E' stata uccisa dalla polizia morale iraniana

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l’hijab l’hijab © Pixabay
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La giovane, residente a Saqqez, in Kurdistan, è stata uccisa dalla polizia morale iraniana per non avere indossato il velo in maniera corretta. Si trovava a Teheran per trascorrere le vacanze con la famiglia.

Mahsa Amini era una ragazza di vent’anni; un’età idilliaca, dove a ogni curva intrapresa si può decidere di cambiare strada o fare marcia indietro, dove si muovono i primi, teneri passi in società, guidati dalla fiamma della spensieratezza adolescenziale ancora accesa. 

A Mahsa i vent’anni sono stati strappati via, insieme alla vita. Camminava per Teheran tranquilla, spensierata, quando è stata fermata da due poliziotti. Secondo loro non portava correttamente l’hijab, obbligatorio in Iran. Una inezia, paragonata ai reati di cui l’essere umano può macchiarsi. Immagino cosa abbia provato quando è stata fatta salire in auto. Quasi riesco a sentire il panico chiuderle la gola e lo stomaco, i nervi diventati tesi come tronchi d’ebano, il sudore freddo scivolarle lungo la schiena, la mano della mamma che cerca disperata ma non c’è. 

Mahsa era consapevole di trovarsi in un regime dove lo stato di diritto nei confronti delle donne è assente, ma non si aspettava una punizione così severa. A vent’anni la disillusione non ha ancora arrugginito i motori della speranza. Ci è sempre stato detto che a vent’anni si può sempre rimediare, che si è ancora in tempo per diventare cantanti, recuperare gli anni di studio persi, fare il giro del mondo in roulotte mangiando cibo liofilizzato e merendine, perché le vere responsabilità ancora non sono arrivate e un po’ di palestra e di corsa faranno perdere quei tre chiletti presi.

Non sono bastate le scuse, la promessa che non sarebbe più successo, le grida e i pianti. Il cuore di Mahsa si è fermato un giorno di fine settembre per i calci e i pugni scagliati da uomini che un cuore non ce l’hanno, o hanno dimenticato di averlo.

La morte di Mahsa ha indignato il mondo intero. In Iran migliaia di manifestanti si sono riversati nelle piazze per mettere la parola fine a un regime che da decenni opprime la vita delle donne. La vicenda di Mahsa ha fatto esplodere una bomba sganciata da tempo, e che adesso ha toccato terra. 

Purtroppo Mahsa non è l’unica persona ad aver perso la vita. Il regime sta reprimendo le proteste nel sangue, decidendo di non ascoltare le voci del popolo che chiede a gran voce maggiori diritti e libertà, e si contano più di cento manifestanti uccisi, per la maggior parte donne. Tra queste la piccola Nika Shakarami, sedici anni, scomparsa dopo uno dei tanti cortei tenuti a Teheran e riconsegnata cadavere alla famiglia una settimana dopo. Stesso destino per Sarina Esmailzadeh, anch’essa sedicenne. Alle famiglie delle vittime è stato detto che le tre ragazze sono decedute per le cause più fantasiose: Mahsa per tumore, Nika per un incidente, Sarina per suicidio. Ciò aggrava la posizione del regime iraniano, l’unico ed evidente colpevole della loro morte. 

Mahsa, Nika, Sarina e le manifestanti iraniane non sono donne appartenenti a una civiltà lontana. Sono le nostre sorelle, le nostre mamme, le nostre amiche, le nostre nonne. In occidente, che secondo molti analisti ha raggiunto un picco di civiltà mai sfiorato prima, fino agli sessanta del Novecento vigeva la segregazione razziale nei confronti degli afroamericani, e la shoah è accaduta un battito di ciglia fa se prendiamo in considerazione l’arco temporale della vita dell’uomo sulla terra. Le conquiste vanno celebrate avendo sempre lo sguardo rivolto all’indietro, e non bisogna mai sentirci sicuri; una conquista può essere spazzata via in qualunque momento. Ma soprattutto, ognuno di noi è tenuto a partecipare attivamente a ogni battaglia di civiltà, anche se combattuta in zone del mondo che crediamo lontane. Come? Esprimendo solidarietà e manifestando nelle piazze di casa nostra, ad esempio. La guerra, che guardavamo distesi sul divano in televisione e che adesso bussa alle nostre porte, ci ha insegnato che niente è così distante da poterci lasciare indifferenti.

All’uomo è stata concessa la vita. Ciò che però non gli è stato concesso sono le conquiste che di volta in volta ottiene versando sangue e sudore; una scalata verso il paradiso terrestre infinita, ma al quale per natura tende. 

Le manifestazioni in Iran mirano a rovesciare un sistema che non tiene conto del cambiamento che si sta verificando in ogni parte del mondo, e che prevede migliori condizioni di vita per le donne. Le donne sono stanche di non poter ambire a cariche di rilievo, di non poter indossare scollature senza essere additate con epiteti osceni e a sfondo sessuale, di rinunciare alla carriera per badare ai figli. La libertà e i diritti che le donne reclamano, e che sono destinate a conquistare, sono gradini di quella scala immaginaria che porta verso la migliore condizione possibile a cui uomini e donne aspirano dall’alba dei tempi, e che forse vivranno in futuro. Questa è l’ambizione che deve motivarci a combattere. La solidarietà è un’arma, e la mia va a tutti i manifestanti iraniani. 

Polo Maurizio Insolia

Mi chiamo Paolo Maurizio Insolia. Sono uno studente universitario di Lettere e sono un apprendista/giornalista di Ok News. I miei interessi spaziano dalla letteratura alla filosofia, passando per la storia e la psicologia. Insomma, il campo umanistico è la mia casa. Le mie passioni per il giornalismo e la scrittura nascono durante l’adolescenza, e con gli anni stanno diventando un lavoro. Nei miei editoriali cerco di analizzare a fondo le questioni, cercando sempre di ricollegarmi al pensiero di grandi coscienze quali Jung, Krishnamurti, Hillman e molti altri non solo appartenenti al campo psicologico, ma anche politico e sociologico.

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