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Perché nessuno sembra bussare alle porte della pace?

Da otto mesi il dibattito si concentra sull’invio delle armi in Ucraina e sulle strategie per sconfiggere Putin, ma nessuno parla di trattative di pace.

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Peace Peace © kedar gadge
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Di Paolo Maurizio Insolia.
Parto da una premessa: le guerre di oggi non sono più le stesse del passato, e ciò era già chiaro nel Novecento. Se un tempo l’esercito vincitore era quello che riusciva a prevalere sul campo, adesso non è più così. Nel 2022 una battaglia come quella di Azio, dalla quale uscirono sconfitti Cleopatra e il marito Marco Antonio, non sarebbe sufficiente a decretare la fine di un grande impero, come fu quello tolemaico d’Egitto. 
La falange, idealizzata da Filippo il Macedone e considerata invincibile, oggi sarebbe un elemento certamente importante, ma irrisorio se paragonato al quadro generale degli strumenti di guerra di cui uno stato può servirsi, soprattutto se il soggetto in questione è l’impero più esteso al mondo e dalle infinite risorse: la Russia. 
Oggi abili condottieri come Alessandro Magno non potrebbero conquistare vaste fette di mondo con uno schiocco di dita, ma si troverebbero costretti a intessere rapporti con presidenti di paesetti minuscoli come Kim Jong-Un, capo supremo della Corea del Nord. Paesetti minuscoli, sì, ma pericolosi per l’incolumità di tutti. 

La differenza tra passato e presente - differenza che ha cambiato e tuttora mantiene gli equilibri geopolitici - sono le armi nucleari. Abbiamo due precedenti della loro devastazione, Hiroshima e Nagasaki, ma rispetto al 1945 la situazione del 2022 - con particolare riferimento alla guerra tra Ucraina e Russia - è molto più delicata. Il Giappone non deteneva migliaia di testate nucleari con cui rispondere, come gli Stati Uniti e la Russia, e rispetto a quest’ultima era isolata. Cina e India - in buoni rapporti con la Russia - non erano ancora grandi potenze, ma paesi arretrati e chiusi, con deboli capitali e sprovvisti di tecnologie all’avanguardia. 
Una guerra nucleare tra Occidente e Oriente equivarrebbe all’apocalisse. Una sola bomba atomica stravolgerebbe l’umanità, e anche se non avvenisse un escalation nucleare, e l’uomo riuscisse quindi a rialzarsi, le ferite risulterebbero troppo profonde per essere guarite. Le vittorie sul campo, corpo a corpo, saranno sempre non dico vane, ma insufficienti se chi combattiamo può schiacciare in qualunque momento il fatidico tasto rosso. 

Il valoroso esercito ucraino sta tenendo testa da otto mesi all’esercito russo, grazie soprattutto alle armi inviate dalla NATO. Biden ha dichiarato che sosterrà l’Ucraina fino a quando Putin continuerà la sua opera di espansione territoriale. I leader europei si sono accodati alle sue parole, compresa Giorgia Meloni, vincitrice delle ultime elezioni italiane e Presidente del Consiglio. Zelensky, il presidente ucraino, non fa altro che richiedere armi – compresi i missili a lungo raggio – quando dovrebbe cercare, insieme a tutti gli altri, di porre fine alla guerra. Santoro ha ragione a dire che il continuo rifornimento di armi, senza avere in mente una meta precisa, non porterà a nulla se non a scorrimenti di sangue e distruzione. E la meta dev’essere la pace, e non, come sostengono alcuni, la sconfitta della Russia, per il semplice motivo che saremo tutti sconfitti se ricorresse all’atomica. 

C’è chi ha addirittura parlato di umiliare la Russia, come fosse la provincia di una città qualunque e in ballo ci fosse una partita di calcio, e non l’Armageddon. Possibile che Trump sia riuscito a intessere rapporti con la Corea del Nord, acerrima nemica degli Stati Uniti, oltretutto incontrandosi con Kim Jung-Un, e Biden e non riesca a dialogare con Putin?

Ho l’impressione che non abbiamo più la percezione del pericolo. Forse siamo assuefatti dai social network, dalle comodità, dai film firmati Marvel. Il problema è che nella vita reale nessun supereroe mascherato verrà a soccorrerci dal cattivo di turno. Nella vita reale con i cattivi bisogna dialogare e accordarsi, specialmente se sono capi di stato. Non possiamo avere la presunzione di crederci superiori, esentandoci dal confronto. Non vedo alcun avvicinamento da parte dell’Occidente, bensì freddezza, che si concretizza nei razzi che devastano le città dell’Ucraina - lasciandola al buio e al freddo -, nei soldati che perdono la vita, nelle fosse comuni scavate nel Donbass.

Quanto questa guerra dovrà andare avanti? Diamo le armi, ma poi? Emettiamo sanzioni, ma poi? Il ma poi, che contiene la soluzione, non è mai esplicitato. Vogliamo una corsa alle armi all’infinito? Quante persone dovranno perdere la vita? Quante bombe gettate? E il punto di non ritorno, l’atomica, così vicino negli anni Sessanta con la crisi dei missili di Cuba, sembra non suscitare il panico che suscitò allora. Ci siamo dimenticati dei funghi radioattivi che si innalzarono in cielo? Sono immagini in bianco e nero, ma le città che vennero colpite, e di cui rimase lo scheletro, erano vive, piene di colori, come quelle che conosciamo. Ho l’impressione che inviare armi sia diventato un modo per lavarci la coscienza, e chi se ne importa se la situazione è in stallo da mesi, in fondo sono problemi che non ci riguardano in prima persona. Ogni mossa deve avere come obiettivo la fine della guerra, sennò è una mossa a perdere. 

Mi auguro che si trovi al più presto una soluzione diplomatica. Ad oggi non ho visto altro che prove di forza, eppure le civiltà evolute poggiano sulla diplomazia, sul trovare soluzioni ragionate. Ce lo insegna l’illuminismo, da cui deriva gran parte della nostra coscienza. Non possiamo mandare tutto all’aria per mantenere fede a una linea che guarda solo in un’unica direzione. Così facendo faremo la fine di Polifemo, che infatti aveva un occhio solo.

Paolo Maurizio Insolia
Studente Universitario

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