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La verità sul ritrovamento del manoscritto de 'Il più lungo giorno'

Una sorta di giallo sul libro di Dino Campana

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Una copertina Una copertina © N. C.
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Un interessante contributo in redazione di Rodolfo Ridolfi spiega che: La vicenda del manoscritto è nota. Nel Novembre del 1913 Dino consegna a Papini a suo dire la sola e unica copia delle sue poesie; per disattenzione o altro, Ardengo Soffici (codirettore della rivista Lacerba) smarrì il manoscritto del poeta di Marra-di, e a nulla valsero le minacce e le preghiere che a più riprese Campana rivolse sia a Papini (al quale era stato consegnato il manoscritto) che a Soffici.

Questa sparizione, casuale o voluta, provocò nel poeta delusione, disperazione, rabbia; ma anche un frenetico desiderio di vedersi stampato, di realizzare il suo sogno di poeta. Soffici in un trasloco lo perse, costringendo il poeta (che ha sempre dichiarato che quello scritto era l’unica copia di cui disponeva) a un lavoro di rielaborazione che in pochissimi mesi portarono ai Canti Orfici come sono stati pubblicati. Rinvenuto fra le carte di Soffici (probabilmente dallo stesso Soffici), il manoscritto campaniano è stato studiato a fondo, con la conclusione che la perdita da parte di Soffici costrinse e impose a Campana una rielaborazione, in pochi mesi, su testi che conservava (alcuni, per esempio, nel Quaderno), che lo porterà alla sintesi ultima e più matura dei Canti Orfici. Il più lungo giorno vergato con particolare cura, quasi sicuramente nella soffitta della sua casa a Marradi, dove il poeta si ritirava per studiare e per scrivere, come testimonia nel 1957 il fratello Manlio, fu consegnato da Dino Campana a Papini e Soffici per un’eventuale pubblicazione. Siamo nel 1914, la guerra è già scoppiata e Dino a settembre arriva a piedi a Firenze per vendere il suo libro alla gente seduta ai tavolini delle Giubbe Rosse e a quelli del Paszkowski. Dino vede il suo libro accettato, forse più per gioco che per un reale interesse, e si permette anche di strapparne qualche pagina, prima di consegnarlo all’acquirente che non l’aveva completamente convinto di poter capire tutta la sua poesia.

Il capolavoro dei Canti Orfici fu stampato soltanto grazie alla sottoscrizione avvenuta nel 1914 fra i quarantaquattro concittadini del poeta. Alla comunità marradese va dunque il merito di avere reso possibile la pubblicazione del grande capolavoro letterario del ‘900.

Nel 1964 muore Ardengo Soffici e, fin dal 1965, Luigi Cavallo nota tra le carte di Soffici a Poggio a Caiano, il manoscritto smarrito. Per vari motivi i familiari di Ardengo Soffici non ritennero opportuno dare subito notizia del ritrovamento, che fu data soltanto nel 1971 con un articolo di Mario Luzi sul Corriere della Sera del 17 giugno intitolato “Un eccezionale ritrovamento fra le carte di Soffici. Il quaderno di Dino Campana”. L’autografo, risultato di grande utilità per gli studi Campaniani, venne consegnato agli eredi del poeta. Nel 1973, a cura di Archivi-Roma, d’intesa con la Casa Editrice Vallecchi di Firenze, fu pubblicata la riproduzione anastatica de Il più lungo giorno con prefazione di Enrico Falqui e testo critico di Domenico De Robertis.

Nel 2001, essendo da parecchio tempo esaurita la edizione Archivi - Vallecchi, il Centro Studi Campaniani Enrico Consolini, di Marradi curò una nuova edizione dell’importante manoscritto.

Luigi Cavallo, critico d’arte e profondo conoscitore di Soffici e di Rosai (possiede la copia autografa dei Canti del 1914 donata da Dino Campana ad Ottone Rosai completa di dedica al Kaiser) curatore fra l’altro dell’esposizione su Soffici che si svolse a Firenze alla Galleria Pananti dal 4 ottobre al 15 novembre 2001, cui fu affidato l’archivio Soffici dall’anno della scomparsa del maestro, ha fatto luce sulla verità del ritrovamento de Il più lungo giorno una versione più rusticana come la definisce, dei Canti Orfici. Cavallo ha più volte affermato e scritto di avere visto il manoscritto a Poggio a Caiano fra le carte di Soffici già nel 1965, conservato in posizione privilegiata insieme alle lettere di Mussolini. Quindi, non un ritrovamento, quello del 1971, ma una scelta di opportunità. In questa operazione di restituzione ritardata del manoscritto, fu coinvolto Mario Luzi. Luzi scelto come persona degna e Vale-ria Soffici chiese a Cavallo cosa ne pensasse. Io premetti perché fosse lui, afferma Cavallo, ed aggiunge: Molto probabilmente Soffici aveva individuato il manoscritto da tempo, forse nel 1947 quando riordinò le sue carte nel secondo dopoguerra ma non aveva ancora deciso cosa farne. Sì io lo vidi agli inizi del 1965, Valeria (Soffici Gattai figlia di Ardengo) e Maria (la moglie) volevano riconsegnarlo agli eredi che purtroppo ne hanno fatto mercato, mi ha detto Cavallo. Non c’è necessità di nessuna polemica; d’altro canto Soffici aveva offerto a Sigfrido Bartolini tanti documenti del suo immenso archivio e fra questi poteva finirci anche il manoscritto de Il più lungo giorno. La critica e tutti noi avevamo accettato la versione, del miracolo che ha permesso di chiarire tutto o quasi. Dopo la scomparsa di Soffici, nel 1971 la vedova, signora Maria Soffici, riordinando le carte del marito (materiale di notevole interesse, è da supporre, per le fitte relazioni che intrattenne con artisti e scrittori di mezza Europa), ritrova il famoso fascicolo; Mario Luzi ne dà notizia al mondo, su cinque colonne nelle pagine del Corriere della Sera, il 17 giugno dello stesso anno, immaginando meraviglie da una improbabile riapparizione del testo perduto, mentre invece abbiamo dovuto prendere atto che le cose, per la verità, non sono andate proprio così. Ma qual è il rapporto fra il manoscritto del Il più lungo giorno e i Canti Orfici? Come dicono Enrico Falqui (nella introduzione) e Domenico De Robertis (nel commento critico al testo), in effetti il manoscritto appare come una bella copia, uno status non definitivo del testo, una redazione ordinata del materiale proveniente da altre carte, alle quali sicuramente Dino attinse anche per la redazione finale del suo libro. In pratica i Canti Orfici riprendono per circa due terzi con poche varianti la struttura e il testo del manoscritto, perdendo per strada solo alcune poesie che sono state recuperate e pubblicate in altre carte venute alla luce prima del ritrovamento. La storia della ricostruzione a memoria dell’intero libro è da considerarsi pura leggenda. Luzi sostiene: Molto emozionata, la figlia Valeria mi comunicò la notizia ma alla mia impazienza di vedere il reperto oppose la necessità del consenso materno. In realtà madre e figlia erano molto comprese della responsabilità del ritrovamento, ma infine maturò tra loro la convinzione che il primo dovere fosse di rendere pubblica la cosa, ed è proprio ciò che vado facendo. Intanto si sono l’una e l’altra, d’accordo con gli altri due figli, orientate e confermate nel proponimento di donare il quaderno a una importante Biblioteca e sperano che non sorgano ostacoli a questo loro disegno.

Le notizie che ci dà Luigi Cavallo nell’articolo pubblicato nel 2002 su Il Giornale sono davvero sorprendenti. Quando Valeria Soffici mi cercò per comunicarmi il ritrovamento del manoscritto campaniano tra le carte del padre, non mi disse che il fortunato evento si era verificato sei anni prima secondo la data memorizzata da Cavallo. Ma Luigi Cavallo insiste di aver visto tra le carte di Ardengo Soffici, vicino alle lettere a Mussolini, a Poggio a Caiano il manoscritto de Il più lungo giorno.

Il 3 marzo 2005 Luigi Cavallo mi scrisse una lettera e mi inviò l’articolo pubblicato dal Giornale che qui di seguito riporto:

Il manoscritto dei Canti Orfici fu ritrovato nell’archivio di Soffici nel 1965. Molto dopo infatti affiorò il manoscritto di un’altra poesia di Campana, Domodossola 1915, tuttora nell’archivio di Poggio (riprodotta nel volume di Campana curato da Gabriel Cacho Millet - Le mie lettere sono fatte per essere bruciate, 1978). Di quel ritrovamento furono comunque informati i figli di Soffici, Valeria e Sergio, e il genero di Papini, intimo di famiglia, Barna Occhini.

Si tenga presente in ogni caso che Maria Soffici, anche con qualche sottolineatura vivace di carattere, si dichiarava unica proprietaria e custode delle carte del marito, finché ebbe forze. Era tale il suo attaccamento a ogni foglio che Ardengo aveva toccato, da far scattare una sorta di gelosa ritrosia per ogni richiesta di pubblicazione. Il rispetto per l’autografo di Campana consigliava di non affrettare la diffusione della notizia, di sondare a fondo nelle carte, di non divulgare quel ritrovamento in tempi del tutto inadatti, senza per questo che venisse in mente che si stava commettendo un arbitrio grave nei confronti della storia di Campana, come scrive Luzi. L'intenzione era di non dare appigli per mescolare fatti di carattere squisitamente letterario con argomenti politici, vista la damnatio memoriae da cui era stata afflitta la figura di Soffici.

Le infauste vicende politiche del Sessantotto giustificarono ulteriore prudenza. Vedendo nell’insieme quanto accadde, mi sembra che per la famiglia Soffici fosse più che lecito attendere anni meno sinistri, e una voce adeguata come quella di Mario Luzi per rendere pubblico il ritrovamento del manoscritto.

L’autografo venne consegnato agli eredi del poeta. Nel 2004 è andato all’asta ed è divenuto proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze che a sua volta lo ha consegnato alla Biblioteca Marucelliana di Firenze.

*Autore del Libro “Per l’amor dei poeti o principessa dai sogni segreti” Appunti su Dino Campana

Edizioni Centro Studi Campaniani “Enrico Consolini” 2005 pag 65-68

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