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La crisi, gli ospedali, la sanità e i territori montani. Riflessione di una lettrice

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La crisi, gli ospedali, la sanità e i territori montani. Riflessione di una lettrice La crisi, gli ospedali, la sanità e i territori montani. Riflessione di una lettrice © n.c.
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Per essere tutti uguali anche nella crisi economica. E' giunta in Redazione una riflessione in merito alla crisi che ha colpito la nostra società negli ultimi anni e a quelle che ne sono state le classi più colpite. Il Mugello, con varie iniziative, cerca di opporsi a tendenze sempre più collaudate. Le parole di Tiziana.

Viviamo un periodo storico nel quale abbiamo perso molte sicurezze, molti diritti e di conseguenza la piena possibilità di autodeterminarci. Parlando in termini capitalistici, siamo in un circolo vizioso; la diminuzione di sicurezze sul lavoro ha causato una diminuzione dei consumi e conseguentemente una crisi economica. Tutto per colpa di politiche neoliberiste, sia nel mercato del lavoro che nella risposta data alla conseguente crisi economica, a tutela del profitto e non dei diritti, in tutti i campi dello stato sociale: dall’istruzione alla casa, al sostegno sociale, alla salute. Lavoro e salario sono diventati oggi oggetto di ricatto, obbligando milioni di persone a lavori precari e mal pagati, in particolar modo nell’universo femminile. In questo momento, avevamo bisogno, di uno stato forte nella salvaguardia di diritti e stato sociale, ed invece abbiamo avuto governi che attraverso scelte di convenzioni/privatizzazioni, giustificate da false esigenze di eccellenze e razionalizzazioni, hanno compiuto scelte per creare profitto, a discapito di diritti come il diritto alla salute, all’istruzione, alla casa, al sostegno sociale, al lavoro dignitoso. Tutti diritti che in un paese evoluto andrebbero garantiti in un’ottica solidale e universalistica. Riguardo alla garanzia di uno stato sociale che punti a rendere “tutt* uguali”, è obbligatorio il principio di solidarietà, ovvero chi più può più paga, attraverso una fiscalità generale adeguatamente proporzionata a reddito e rendite. Oggi invece assistiamo ad un paradosso; la classe che più paga, proporzionalmente alla propria possibilità, ovvero la classe media e medio bassa, meno ha in termini di restituzione di stato sociale. È la più colpita anche dalla compartecipazione, sia per servizi sociali (vedi rette per nidi e RSA) che sanitari; per questi ultimi, complici i ticket che stanno rappresentando una vera e propria tassa sulla malattia. Parlando sempre di sanità, le politiche percorse, che hanno determinato: varie forme di compartecipazione per le prestazioni,  lunghe liste di attesa a causa della minor offerta di servizi, prestazioni date lontano dal territorio di domicilio per colpa di chiusure e accorpamenti, hanno regalato numerosi servizi e quindi risorse che potevano andare al pubblico, al privato/convenzionato, facendo diventare il pubblico sempre meno concorrenziale e creando ulteriori differenze di classe sul diritto alla salute tra chi può andare nel privato, pagare la compartecipazione, spostarsi nel territorio per vedersi data la prestazione e chi non può farlo. Nel 2016, 11 milioni di italiani hanno rinunciato a cure sanitarie per difficoltà economiche, soprattutto in prestazioni di diagnostica e quindi di prevenzione secondaria e di diagnosi precoce. Il 2015 è stato poi anche il primo anno in cui l’età media degli italiani è diminuita, passando da 82,6 ad 82.3 anni. Con la scusante degli accorpamenti poi, come scelta alla razionalizzazione e all’eccellenza (non parliamo naturalmente dell’alta specialistica), si stanno creando sempre più differenze anche tra cittadini che abitano in zone urbane rispetto a quelli che abitano in zone extraurbane, come i territori montani, collinari e insulari. Vengono infatti tagliati sempre più i servizi nelle periferie, centralizzandoli o accorpandoli, senza preoccuparsi di rispondere alle esigenze delle persone che abitano questi territori e che si trovano in questo modo a difficoltà di accesso e maggiori spese in tempo e denaro per gli spostamenti, e neppure alle possibili conseguenze che tali scelte rischiano di determinare: ovvero l’abbandono di questi luoghi. Facciamo un esempio: l’aumento della prospettiva di vita, ha determinato un aumento di patologie tumorali come quelle del tumore alla mammella, alla prostata e del melanoma. La Regione Toscana sta cercando di creare in questi campi ipotetici centri di eccellenza, che poi nei fatti rischiano di diventare irraggiungibili da persone con scarsa autonomia di mobilità, nonché per i tempi di attesa che saranno inevitabilmente sempre più lunghi. Analizziamo ad esempio il tema melanomi: diversi anni fa potevamo fare la mappa dei nei e l’asportazione del sospetto melanoma con servizi di prossimità nei vari territori e gratuitamente. Adesso oltre ad aver tolto il servizio pubblico di prossimità attraverso centralizzazioni di diagnostica o di asportazione, si chiede anche il pagamento di un ticket. E questa non è certo una politica giusta per diminuire le conseguenze che il riconoscimento tardivo di un melanoma possono portare all’individuo in primis, nonché a tutta la collettività, come spesa per una cura ben più onerosa! Parliamo poi dell’aumento dell’incidenza del tumore alla mammella (senza considerare l’impossibilità di fare le mammografie prima dei 50 anni per agende di appuntamenti sempre chiuse) e alla prostata. Allontanado i servizi dai cittadini, oltre al disagio e al costo maggiore per gli spostamenti, non si agevola certo una cura e una diagnosi tumorale precoce! Consapevoli della direzione nella quale il nostro stato sta andando, con le varie scelte politiche fatte di accorpamenti, tagli, privatizzazioni, oltre a quelle di defiscalizzazione del welfare aziendale (con conseguente ancora meno introiti allo stato per garantire lo stato sociale) nei contratti di lavori, che sostituisce in parte o del tutto incrementi salariali e che pone il lavoratore nell’ulteriore ricatto del legame con l’azienda detentrice del benefit aziendale che andrà piano piano a sostituire lo stato sociale dato dallo stato (fatto come già abbiamo detto sempre con meno introiti e quindi con meno offerta di erogazione dei servizi), diventa indispensabile una pressione che orienti le scelte politiche ad una controtendenza: decentralizzare e reinvestire in sanità e stato sociale per riuscire a rispondere alle varie esigenze che necessitano i territori e le persone che vi abitano. Oggi stiamo andando verso 3 livelli di sanità e di stato sociale: uno statale, residuale per gli inoccupati, i precari, i disoccupati, i pensionati; uno aziendale/mutualistico, con diverse prestazioni a seconda della categoria di lavoro, del potere contrattuale e delle dimensioni di un’azienda; ed uno privato legato soprattutto alla forma assicurativa, per le persone più ricche. E questo non ci rende certo tutti uguali! Uguaglianza e universalismo stanno perdendo significato. Per questo nel Mugello cerchiamo di determinare una controtendenza, per le donne e non solo. Ci stiamo infatti mobilitando, in primis come Non Una di Meno-Mugello, per opporci a scelte di accorpamenti/centralizzazioni fatte nei nostri territori e per avere e riavere servizi di prossimità per le donne e per tutte le persone che vi abitano. Solo con la mobilitazione dal basso, per essere tutte e tutti uguali anche nella crisi, in un’ottica di universalismo e solidarietà, potremmo determinare un cambio di direzione!

Tatiana Bertini

 

 

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