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Appunti di viaggio: un giorno a Cienfuegos

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Estate, tempo di vacanze e di viaggi. Di opportunità per scoprire il mondo ed i suoi abitanti. Per questo pubblichiamo le nuova puntata del diario di viaggio che una nostra lettrice, Caterina Suggelli, ha tenuto durante il suo viaggio-studio a Cuba:

Dopo quasi un mese di gradevoli giornate habanere, con Gianni abbiamo deciso di prenderci qualche giorno di vacanza dalla città. Ci siamo così informati per diverse destinazioni, e tra gli amici fidati il luogo che più spesso ricorreva era Cienfuegos: “È una cittadina preciosa, pulita, con bellissime spiagge e un piccolo malecòn molto carino. E poi non è molto turistica, anzi è proprio cubana! A voi due piacerà di sicuro”. Infatti!

 

Cienfuegos è una ridente città fondata da emigranti francesi che, nel 1819, furono mandati in questa zona per “schiarire” la popolazione prevalentemente nera. Si affaccia su una grande e ben protetta baia nel mar dei Carabi, alla cui imboccatura sorge una fortezza eretta nel 1745 dal governo spagnolo per proteggere le acque dai pirati che all’epoca imperversavano.

La natura è incantevole, un susseguirsi di colline e campi coltivati, palme che sbocciano dai boschi e mangrovie quando si incontra la costa. In lontananza si vedono le irte pendici del massiccio dell’Escambray, affascinanti e misteriose, come questa sierra che per anni ha nascosto le file interne e esterne dei controrivoluzionari. La baia ben protetta lascia insinuare un mare tranquillo, rassicurante, al sapore di lago.

La città è effettivamente bellissima: prevalentemente in stile coloniale francese, è molto ben tenuta e curata; le colonne bianche che sostengono le case, si alternano a i colori pastello delle facciate, una rosa, l’altra celeste, poi una gialla, e ancora una verde, lillà, rossa… Non stancano, anzi rilassano gli occhi, gli appagano. Per proteggersi dal sole cocente di queste latitudini tropicali, le strade sono accompagnate da lunghi portici, sotto ai quali la gente si rilassa sulle sedie a dondolo, gli ambulanti vendono la loro merce e i bambini giocano instancabili.

La piazza José Martì, la principale, sembra un gioiellino: circondata da edifici meravigliosi e ben conservati, tra cui un teatro costruito sul modello di quello della Scala di Milano, accoglie al suo centro un parco fresco e pulito, con tanto di fontana, chiosco, e tante sedie di ferro dove giovani e anziani si danno appuntamento aspettando una confortante folata di vento.

Nella zona del porto, tra la zona commerciale e il malecòn, si trova un piccolo e suggestivo molo, decorato con lampioni e panchine di ferro battuto, dai cui partono i traghetti per la fortezza o per le spiagge, quasi tutte situate fuori dalla baia; quando ci arriviamo, noto una targa in memoria di Julio Antonio Mella, e poiché mi affascina il personaggio mi fermo a leggerla. Subito arriva un vecchietto, probabilmente un custode, che avendoci riconosciuti “turisti”, si avvicina per darci spiegazioni, perché a qualsiasi cubano piace raccontare storie, e quando si tratta della storia del loro paese, ancora di più, perché nasce dall’orgoglio:

“Questa targa fu voluta da Fidel per l’anniversario della morte di Julio Antonio Mella, fondatore della Federazione degli Studenti Universitari, e tra i fondatori del primo Partito Comunista Cubano, perché da questo molo partì nel 1926, lasciando per l’ultima volta il suo paese,. Partì in esilio per il Messico, perché stava combattendo contro la dittatura a Cuba, ma quel delinquente di Machado mandò dei sicari che lo uccisero per la strada con la sua compagna, qualche anno dopo, negli anni ’30 mi pare…”

“Fu nel 1929, a Città de Messico. La sua compagna non fu uccisa, sopravvisse, ma certo da quel giorno la sua vita cambiò profondamente. Si chiamava Tina Modotti, la conosce? Era una mia connazionale, anche se emigrò giovane negli Stati Uniti, là diventò una famosa attrice e fotografa, poi andò in Messico, dove era solita frequentare i circoli artistici ed intellettuali di sinistra che facevano capo al pittore e muralista Diego Rivera. Proprio là conobbe Mella e ne divenne compagna fidata, di vita e di lotta. Dopo aver conosciuto la povertà e i problemi in cui versava l’America Latina non ebbe dubbi su quale parte appoggiare, e dopo che il suo compagno fu ucciso mentre camminava al suo fianco, potrà capire…”

“E lei signorina come fa a sapere tutte queste cose? Ne sa più di me… Com’è che conosce così bene la storia? Di solito i turisti non sono molto preparati, conoscono ben poco di Cuba…”
“Beh, è che non sono solo una yuma, ma anche una studente molto curiosa che ha avuto la fortuna di trovare all’Avana un professore veramente in gamba. Tutto qui.” “Che abbia fortuna nei suoi studi, allora!”
“Anche a lei. Che abbia fortuna nella vita!”
Che persone affabili questi cubani!

Un’altra personalità celebre che incontriamo lungo il nostro cammino, e di cui Cienfuegos può vantarsi di aver dato i natali, è senza dubbio Benny Moré, il “musicista della gente”. La sua Cienfuegos lo ricorda con una bella statua in bronzo lungo il paseo principale che porta al Malecòn, con vari murales sparsi sui muri della città e con il suo nome che ricorre a denominare caffè e discoteche. El Benny, a sua volta, aveva immortalato e reso celebre la sua città con una canzone, che dice appunto: “Cienfuegos es la ciudad que màs me gusta a mì…”

Un amore ricambiato evidentemente, e a ragione a quanto pare. Benny Moré, oltre a essere uno dei musicisti più conosciuti di Cuba, è sicuramente il più amato dal suo popolo, perché lui, la sua gente, l’ha sempre amata, e mai dimenticata. Nato agli inizi del secolo scorso in un contesto molto povero e marginale della campagna cienfueguera, fin da bambino risulta strabiliante per le sue capacità musicali, che coltiva e apprende da autodidatta.

Adolescente, decide di trasferirsi all’Avana per tentare la fortuna e farsi conoscere nel panorama musicale metropolitano; si stabilisce quindi nel quartiere di Regla, dietro il porto, quartiere marginale e a maggioranza nera, dove inizia a suonare per le strade. Dopo un primo periodo difficile, in cui riscuote successo tra la gente ma rimane escluso dal circuito professionale, un bel giorno viene avvicinato da un musicista e produttore che rimane affascinato dalla sua maniera di suonare le percussioni: “Prieto, chi ti ha insegnato a suonare così bene?” – “Le mie stesse mani”, rispose con naturalezza. Da quel giorno inizia la sua ascesa nel panorama musicale nazionale e internazionale, suona nei più importanti locali dell’Avana, fino ad arrivare all’apice della fama a New York, cavalcando l’onda del tradizionale bolero e del neonato cha-cha-cha, che proprio in quell’epoca inizia a prendere voga tra il pubblico americano ed europeo, consacrandosi infine nel mito che ancora oggi rappresenta.

Nonostante la grande fama e il benessere economico che porta con sé, il Benny non dimentica mai le sue origini di nero, marginale e autodidatta nella “città delle meraviglie”, non cambia il suo spirito umile e il suo stile di vita: quando sta a Cuba continua a vivere e a suonare per le strade di Regla, aiutando come può la sua gente che ancora vive tra povertà, analfabetismo, razzismo ed emarginazione, perché come lui dice: “Il momento migliore per fare musica è solo qui, tra la mia gente”.

Ed è soprattutto per questo che la sua gente ancora lo ricorda con onore e lo venera con estremo amore, con l’amore che si sente per un amico, per un fratello, figlio delle stesse strade, figlio della stessa terra, pieno della stessa umile e elevatissima dignità. Questo è il mio piccolo tributo a te, Benny, fratello.

 

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