Gaza © Jehad Al-Sharafi
Sono i giorni più caldi e decisivi per la sorte della Global Sumud Flotilla e della sua ciurma che, nonostante gli appelli al buon senso, pare voglia imperterrita lanciarsi al martirio.
Un gesto di solidarietà internazionale, secondo alcuni, oppure una provocazione politica, come la definiscono i detrattori?
Sicuramente c’è la volontà di salvare vite, ma si rischia – Dio non lo voglia – di perderne alcune e di finire con un buco nell’acqua.
Salvare vite richiede organizzazione perfetta e nervi saldi
L’intenzione generosa e lodevole di voler salvare vite umane si scontra con una realtà dura e cruda: la politica estera di Israele.
Attenzione però: è bene fare alcune precisazioni. Salvare vite è bellissimo, ma non banale. Per farlo servono sangue freddo e un’organizzazione perfetta.
Chi vi scrive ne sa qualcosa perché – lo dico per quelli che non lo sanno – nel tempo libero opero nel volontariato come corriere internazionale che trasporta cellule staminali e midollo osseo salvavita per trapianti.
In quindici anni di missioni in cui custodisco fra le mie mani l'ultima speranza di vita di una persona, ogni volta è diverso.
Quando hai la responsabilità di dover salvare una vita umana sai che devi essere perfetto e niente deve essere lasciato al caso.
La flottiglia per Gaza, armata delle migliori intenzioni, non me ne vogliate, pare però un’armata brancaleone allo sbaraglio.
Rimane senza carburante, non verifica le condizioni meteo…
Adesso sta pericolosamente navigando verso il disastro ed è sorda a ogni richiamo.
La cronaca di questi giorni lo conferma: il governo italiano gli ha esortato a non proseguire verso Gaza e il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha dovuto inviare una fregata italiana per assistere le navi dopo attacchi di droni; al tempo stesso ha fatto appello alla responsabilità dei partecipanti, suggerendo che esistono vie più sicure per portare aiuti.
Il governo aveva anche proposto di consegnare gli aiuti non direttamente a Gaza, ma di scaricarli nel porto di Cipro, da dove il patriarcato latino di Gerusalemme se ne farebbe carico per la distribuzione nella Striscia di Gaza. Nulla da fare.
Il governo israeliano, che ha definito la missione una provocazione e ha accusato gli organizzatori di favorire Hamas, ha proposto che gli aiuti vengano scaricati in porti vicini, come Ashkelon, o in paesi confinanti, piuttosto che tentare di rompere il blocco navale: anche questa proposta è stata rifiutata.
Piccolo particolare: nella Striscia di Gaza non esistono porti adeguati, quindi non è chiaro dove e come la flottiglia intenda scaricare gli aiuti.
Il vero obiettivo della flottiglia — che in realtà non si sa nemmeno da chi sia capitanata — è infatti proprio sfidare direttamente il blocco navale e fare arrivare gli aiuti "direttamente", non tramite terze parti. Hanno definito la loro missione simbolica e pratica e, soprattutto, una questione di principio.
Parole che stridono con l’organizzazione necessaria a una missione salvavita.
La Flottiglia fra umanità e propaganda
Nata come missione internazionale di attivisti e ONG, la Flottiglia è finanziata da crowdfunding e donazioni online, anche se mancano dati certificati e trasparenti sulla gestione economica delle raccolte, elemento che alimenta diffidenze e accuse.
A infiammare le polemiche è stato il coinvolgimento di figure come Mohammad Hannoun, residente a Genova e inserito dagli Stati Uniti in una lista di sanzioni per presunti legami con Hamas. La sua vicinanza alla flottiglia è stata denunciata da più fonti e rilanciata da Il Tempo. Da qui i sospetti che, dietro la facciata umanitaria, vi siano connessioni politiche non dichiarate.
Gli stessi critici sostengono che, a supporto della tesi secondo cui l’azione sia più propagandistica che umanitaria, gli aiuti a bordo siano pochi: una goccia nell’oceano dei bisogni di una popolazione stremata.
Le denunce rilanciate da Cerno su Il Tempo e da altri opinionisti — dal presunto uso improprio dei fondi ai legami diretti con Hamas — restano per ora non documentate con prove pubbliche. In assenza di verifiche indipendenti, la flottiglia rimane sospesa tra mito e realtà: simbolo di resistenza per alcuni, strumento politico per altri.
Una cosa è certa: la Global Sumud Flotilla non lascia indifferenti. Divide l’opinione pubblica, accende lo scontro politico e si muove in quella zona grigia dove solidarietà, militanza e propaganda si intrecciano.
Resta da capire se la verità potrà mai emergere oltre le onde della polemica.
Il pensiero di uno stratega militare
In chiusura voglio condividere con voi la riflessione fatta da un “collega di missioni salvavita”, un ex militare di altissimo livello, esperto di comandi e strategie belliche che conosce bene Israele e le sue eccellenze in campo bellico.
“L'ipotesi di consegnare gli aiuti per Gaza a Cipro, consentendo poi alla chiesa cattolica di farli giungere a destinazione mi pare percorribile e onestamente l'unica con qualche possibilità di buon esito.
Lo stesso nostro Presidente Sergio Mattarella, che ha sicuramente molti più elementi di conoscenza di me, la indica come una opportunità da non farsi scappare.
Rifiutarla per tentare una via che per certo non avrà alcun successo tranne quello di aumentare la visibilità mediatica di chi compone la Flotilla, potendo ipotizzare con buona approssimazione, quale sarà la reazione di Israele affondamento delle imbarcazioni che dovessero non rispondere positivamente all'intimidazione che sarà data di riportarsi in acque internazionali, con la possibilità che qualche imbarcato ne abbia conseguenze gravi è paradossale.
A questo punto c’è seriamente da chiedersi se la "missione umanitaria in atto" ha per fine quello di assicurare la consegna di aiuti oppure, è lecito chiederselo, quello di soddisfare l'ego dei suoi componenti.”
Vi prego: fermatevi. Seguite strade più concrete se davvero la vostra missione è salvare vite.



Maria G
Certo non si pensa alle Famiglie Italiane che sono in difficoltà si pensa d altri